Una cosa è acquisire montagne di dati, decisamente un’altra metterli insieme in modo efficace ai fini di migliorare i risultati. Chi lo fa registra un incremento dell’efficienza produttiva del 15–20%, secondo le rilevazioni effettuate da Bain & Company. L’aumento della produttività corre di pari passo con l’incremento della qualità e della flessibilità, ma anche delle visibilità e accessibilità delle informazioni. Soprattutto questo è il passaggio chiave della trasformazione digitale. Una sfida crescente per le manifatture. Il perno dell’industria 4.0 è infatti la connettività. L’automazione è ormai preistoria industriale, come lo erano state l’acqua e il vapore prima, l’elettricità e il petrolio poi.
L’ingresso in fabbrica dell’Ict di prima generazione, informatica ed elettronica, è Industria 3.0, che già di per sé ha segnato l’ incremento ulteriore dei livelli di automazione non solo nell’ambito produttivo ma anche, e soprattutto, organizzativo. L’Industria 4.0 è la nuova rivoluzione che include un mix tecnologico di robotica, sensoristica, connessione e programmazione. Cambia il modo di fabbricare i prodotti ma anche di organizzare il lavoro, le vendite e persino un passaggio dal core business a nuovi business. Cambia il modello di business e si aprono le porte a nuove prospettive. D’altronde, la connessione, l’elemento portante di Industria 4.0, ha dato il via alle startup che hanno rivoluzionato l’economia mondiale, da Amazon a JustEat, da Uber ai giganti cinesi di Internet come Alibaba e WeChat.
La connettività e condivisione ha infatti aperto la strada a nuove idee, business prima inimmaginabili. Dal punto di vista delle industrie manifatturiere storiche e più strutturate, connessione e condivisione impattano su tutta la catena. Non a caso Industria 4.0 è un termine e progetto partito dalla Germania, storicamente considerata la locomotiva d’Europa, con le sue imponenti industrie, a partire da quelle automobilistiche: Daimler, Bmv e Volkswagen. Il termine è stato usato per la prima volta nel 2011 alla Fiera di Hannover, in Germania, come ipotesi di progetto da cui è partito un gruppo di lavoro che nel 2012 ha presentato al governo federale tedesco una serie di raccomandazioni per l’implementazione del Piano Industria 4.0, al quale è ispirato il Piano industria 4.0 del nostro Paese, finanziato dal ministero dello Sviluppo economico.
L’8 aprile 2013, sempre alla Fiera di Hannover, era stato diffuso il report finale con una previsione degli investimenti necessari su infrastrutture, scuole, sistemi energetici, enti di ricerca e aziende per ammodernare il sistema produttivo tedesco e riportare la manifattura tedesca ai vertici mondiali rendendola competitiva a livello globale. Gli ultimi dati dicono che la Germania è ormai in stagnazione. A settembre infatti il Pmi, purchasing managers indexes, l’insieme degli indici realizzati sulla base delle indicazioni dei direttori degli acquisti, è sceso ai livelli minimi dal 2009, l’anno del grande tsunami mondiale. Comunque sia, il modello tedesco è stato fonte di ispirazione per tanti altri Paesi.
Persino Made in China 2015, il piano di aggiornamento dell’industria cinese è mutuato dal Germany Industry 4.0. Il piano cinese è più ampio e ambizioso di quello tedesco. E diversi anni fa, per raggiungere alcuni obiettivi nei tempi brevissimi sui quali è tarato lo sviluppo cinese, il Dragone ha cercato di compensare il ritardo tecnologico comprando aziende straniere , Una di queste è Kuka, azienda tedesca di punta della robotica a livello mondiale. Nella robotica, basata sul controllo da remoto, ci sono evidenti problematiche legate alla sicurezza, alla protezione dei dati, i proprietari cinesi dovranno fornire garanzie che le informazioni siano iperprotette. Un problema che si poneva già qualche anno fa, ma che ora è diventato più stringente. E poco dopo l’acquisizione di Kuka, c’è stata la levata di scudi della Germania contro le acquisizioni cinesi a rischio.